Una panoramica basata sul Rapporto sulla Politica di Bilancio 2025, per analizzare la spesa della difesa, gli obiettivi NATO, confronto europeo e criticità nei dati relativi al personale militare.
Spesa per la Difesa: l’Italia tra obiettivi NATO, flessibilità UE e sfide future
Il contesto attuale: spesa nazionale in crescita
Nel 2025, l’Italia ha programmato una spesa per la difesa pari a 31,3 miliardi di euro, in leggero aumento rispetto agli anni successivi (31,2 miliardi di euro nel 2026 e 31,7 miliardi nel 2027). Di questi, 22,5 miliardi sono direttamente gestiti dal Ministero della Difesa, su un totale di 35 miliardi di investimenti previsti fino al 2039. Tali cifre provengono dal Rapporto sulla Politica di Bilancio 2025 dell’UPB, documento che costituisce la base di questa analisi.
Secondo la classificazione COFOG, nel 2023 la spesa per la difesa era di 25,6 miliardi di euro, pari all’1,2% del PIL. Di tale importo, l’81,7% era destinato a spese per il personale (Fonte: UPB, Rapporto completo). Un dato che evidenzia il peso significativo del personale militare e di sicurezza nel bilancio pubblico.
Il confronto europeo e il primo target NATO al 2%
La NATO richiedeva ai suoi membri una spesa per la difesa pari almeno al 2% del PIL. Secondo le stime, nel 2024 l’Italia ha raggiunto l’1,5%, con un trend in crescita partito dall’1,1% del 2014. Il Governo italiano aveva espresso la volontà di raggiungere la soglia del 2% entro il 2028 (Fonte: UPB, Rapporto completo). Soglia del 2% raggiunta a inizio anno 2025, come dichiarato anche del Ministro Crosetto.
Tuttavia, rispetto alla media europea, l’Italia presenta uno sbilanciamento nella ripartizione della spesa:
- Personale: 59,4% (media UE: 38%)
- Equipaggiamento e ricerca: 22% (UE: 32%)
- Operazioni e logistica: 16% (UE: 25%)
- Infrastrutture: 4% (in linea con la media)
(Fonte: UPB, Rapporto completo)
A fronte di questi dati, emergono dubbi sulla reale comparabilità tra i Paesi: in alcune nazioni europee, le componenti stipendiali non sono computate nella stessa voce di bilancio, o sono integrate da altri ministeri. Secondo analisi esterne, tra cui un confronto effettuato dalla Corte dei Conti tedesca e un report RAND/NATO del 2024, i dati europei tendono a sottostimare la quota effettiva destinata al personale, rendendo meno marcato il gap con l’Italia.
Clausola di salvaguardia UE e flessibilità
Nell’ambito della riforma della governance europea, è stata proposta una clausola di salvaguardia che consente agli Stati membri una deviazione fino a 1,5 punti di PIL annui dal 2025 al 2028, purché destinata a spese per la difesa. La spesa ammissibile è quella classificata secondo la COFOG SEC2010, ovvero la classificazione internazionale delle funzioni del governo (COFOG) adottata nel Sistema Europeo dei Conti 2010 (SEC2010), che suddivide le funzioni pubbliche – come difesa, sicurezza, istruzione – in modo omogeneo tra i Paesi UE. (Fonte: UPB, Rapporto completo)
Secondo il DFP 2025, tra i nuovi elementi prioritari del bilancio pubblico compare esplicitamente la necessità di rafforzare il settore della difesa, in risposta all’incertezza geopolitica globale (Fonte: UPB, Sintesi Rapporto 2025).
Il nuovo obiettivo: 5% del PIL per la sicurezza
Durante la recente riunione NATO di Bruxelles e in vista del summit dell’Aia, l’Alleanza Atlantica ha rilanciato un obiettivo strategico: destinare il 5% del PIL alla sicurezza collettiva. La ripartizione prevede:
- 3,5% per le spese militari dirette, comprese quelle per il personale e gli armamenti
- 1,5% per infrastrutture e industria della difesa
(Fonte: NATO, Statement by NATO Secretary General, 10 giugno 2025, link)
Tale proposta, al momento non vincolante, ha già trovato l’appoggio di numerosi membri dell’alleanza e potrebbe essere formalizzata nel vertice dell’Aia. L’Italia, come anticipato nel nostro post (clicca qui), si è detta disponibile a valutarne l’implementazione graduale, bilanciando compatibilità finanziaria e impegni strategici.
L’inflazione e la difesa: un binomio critico
Un altro fattore che incide sull’efficacia della spesa militare è l’inflazione. Secondo l’UPB, nel 2024 l’inflazione misurata dal NIC è stata pari all’1,0% in Italia, ma nei mesi più recenti è risalita intorno al 2,0% (Fonte: UPB, Sintesi Rapporto 2025). Le retribuzioni contrattuali nel settore pubblico sono aumentate in media del 3,0%, ma rimangono in termini reali inferiori rispetto ai livelli del 2021 per perdita del potere d’acquisto.
Nel comparto Difesa e Sicurezza, questo dato è particolarmente rilevante: come già evidenziato nel nostro approfondimento sui rinnovi contrattuali 2025–2030 (clicca qui), gli aumenti salariali per il personale in uniforme rischiano di essere erosi dall’effetto combinato di inflazione e prelievo fiscale. Questo comporta il rischio di ridurre ulteriormente il potere d’acquisto, disincentivare la permanenza e compromettere la tenuta operativa del sistema.
Dubbi sulla comparabilità internazionale dei dati sul personale
Alla luce di quanto emerso dal rapporto della Corte dei Conti Tedesca (Bundesrechnungshof), è lecito interrogarsi sulla reale comparabilità tra le spese per il personale militare italiano e quelle degli altri Paesi europei. La Germania, ad esempio, gestisce una quota rilevante dei costi per il personale della Bundeswehr imputandola a più ministeri e capitoli di spesa, inclusi fondi speciali. Questo comporta che la voce “personale” nel bilancio della difesa tedesco appaia più bassa.
Nel documento ufficiale tedesco (Bericht Nr. 99 – 27 maggio 2025), viene esplicitato che le spese per la difesa contabilizzate secondo i criteri NATO comprendono voci diverse e frammentate rispetto al solo bilancio ordinario (Einzelplan 14). Inoltre, la Corte critica l’eccesso di personale non operativo e la necessità di ridefinire i ruoli. Questo fenomeno potrebbe essere sintomatico anche in altri Paesi UE e rafforza l’ipotesi che i dati pubblicati dall’UPB per l’Italia (59,4% al personale) siano non propriamente confrontabili con quelli europei, se presi come parametri decisionali.
Nel quadro dell’attuale riarmo europeo e della pressione NATO per raggiungere nuovi obiettivi di spesa, risulta fondamentale evitare che questi dati vengano utilizzati per giustificare eventuali frenate nei rinnovi contrattuali. Considerando che anche in altri Paesi europei gli aumenti nominali sono stati neutralizzati dall’inflazione. Perciò, il rischio per il personale italiano è quello di non recuperare il gap reale, rimanendo ancorato a una narrativa distorta.
Uno sguardo d’insieme
La spinta verso una maggiore spesa per la difesa è dettata dalla crescente instabilità globale. Le scelte del Governo italiano si muovono su un crinale delicato: rispettare i vincoli di bilancio imposti dall’UE, garantire la sostenibilità del debito, ma anche rispondere alle nuove esigenze strategiche europee e Alleanza Atlantica. La clausola di flessibilità rappresenta in questo senso uno strumento utile per affrontare la transizione.
All’interno di questo quadro, sarà cruciale monitorare l’effettiva ripartizione delle risorse: una spesa sbilanciata sul personale potrebbe limitare la modernizzazione tecnologica e infrastrutturale delle Forze Armate. Al contrario, un approccio equilibrato potrà favorire un sistema difensivo efficiente e coerente con le ambizioni europee e NATO.
APCSM, se unite negli obiettivi, più forti nei risultati – #UnaVoceUnaForza
Fonti consultate
Nota: dove indicato nel testo solo “Fonte: UPB”, i riferimenti dettagliati per sezione e pagina si trovano nei seguenti documenti:
- UPB – Rapporto sulla Politica di Bilancio 2025
- Sintesi UPB 2025 – PDF
- Rapporto completo UPB – PDF
- Bundesrechnungshof – Kurzmeldung Bundeswehr 2025
- Documento completo BRH – PDF (DE)
- RAND – Commentary: Time to Reassess the Costs of Euro-Atlantic Security (2025)
- Kiel Institute – Policy Brief No. 179: The Costs of Not Supporting Ukraine (2024)
- NATO – Segretario Generale, dichiarazione 10 giugno 2025
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