Cresce la spesa militare verso il 4% e il 5% del PIL: ma quanti fondi saranno destinati davvero agli stipendi del personale del comparto difesa e sicurezza?
Verso il 4% e 5% del PIL: più fondi anche per gli stipendi dei militari?
Nel nostro precedente approfondimento sul Rapporto sul Bilancio dello Stato 2025 abbiamo evidenziato come l’Italia abbia raggiunto l’obiettivo del 2% del PIL in spesa militare, anche grazie a un ricalcolo che comprende voci eterogenee, tra cui cyber, spazio, mobilità, i costi per i corpi con compiti di sicurezza interna e, soprattutto, gli stipendi del personale del comparto difesa e sicurezza. Ma il summit NATO in programma all’Aia il 23 e 24 giugno potrebbe cambiare radicalmente lo scenario. La domanda ora è: l’Italia saprà davvero andare oltre e investire anche sul personale?
Un nuovo target: verso il 5% del PIL
Secondo quanto riportato da MIL€X Osservatorio sulle spese militari italiane, è ormai quasi certa l’approvazione della proposta avanzata dal Segretario generale NATO Mark Rutte: portare l’obiettivo di spesa militare e di sicurezza complessiva al 5% del PIL entro il 2035. Una soglia suddivisa in 3,5% per la difesa e 1,5% per la sicurezza.
Per l’Italia, che già oggi spende circa 45 miliardi (35 in difesa e quasi 10 in sicurezza), raggiungere il nuovo obiettivo significherebbe triplicare le uscite fino a 145 miliardi nel 2035. Un aumento che richiederebbe risorse aggiuntive per circa 100 miliardi l’anno rispetto ai livelli attuali, come illustrato nell’analisi di MIL€X del 10 giugno 2025.
Quale sforzo finanziario?
Il salto non riguarda solo la spesa annua, ma anche la somma complessiva da impiegare nei prossimi dieci anni: secondo MIL€X, si passerebbe da circa 500 miliardi cumulativi (se si mantenesse l’attuale 2%) a quasi 1000 miliardi complessivi in un decennio. Lo scenario intermedio, che prevede un incremento graduale fino al 4% del PIL (proposta italiana al summit), comporterebbe comunque 300 miliardi in più in dieci anni e una spesa finale di circa 116 miliardi nel 2035.
Aumenti per il personale in vista?
In questo contesto, una domanda sorge spontanea: quanto di questo incremento potrebbe andare a beneficio diretto del personale in divisa?
Se nei ricalcoli attuali che hanno permesso di raggiungere il 2% sono stati conteggiati anche stipendi e pensioni del personale del comparto difesa e sicurezza, si potrebbe ipotizzare che almeno parte dei nuovi fondi venga destinata a miglioramenti retributivi, assunzioni, formazione e dotazioni.
Tuttavia, come evidenziato anche nel nostro approfondimento sul Rapporto Bilancio 2025, al momento manca una chiara indicazione in tal senso. Perché questo potenziale non resti sulla carta, servirà un’azione concreta da parte dei soggetti che rappresentano il personale. Le dichiarazioni ufficiali parlano di “nuove risorse” e di “sforzi straordinari”, ma nulla è stato ancora vincolato al personale.
Una scelta politica (occorre valorizzare il personale in divisa)
Un’opportunità concreta per le APCSM: puntare sugli stipendi
In questo quadro, le APCSM (Associazioni Professionali a Carattere Sindacale tra Militari) hanno l’opportunità storica di rivendicare un ruolo attivo nella destinazione delle nuove risorse. È il momento di fare leva sugli impegni assunti in ambito NATO per chiedere un deciso rafforzamento degli stipendi dei militari e dei poliziotti, già nella fase che precede l’apertura del tavolo negoziale. Il divario da colmare resta ampio: per restituire piena dignità economica al personale, servirebbero stanziamenti capaci di produrre aumenti netti sensibilmente superiori rispetto al contratto 2022–2024. Quest’ultimo ha garantito incrementi mensili compresi tra 100 e 120 euro per il personale non dirigente. Per raggiungere un risultato realmente incisivo, le risorse aggiuntive dovrebbero consentire incrementi almeno doppi, come illustrato nel nostro focus sui rinnovi contrattuali 2025–2030, con dati utili per misurare la sostenibilità economica di eventuali nuovi aumenti.
Il personale al centro della sfida
L’incremento della spesa militare fino al 5% del PIL non è solo una questione tecnica o di bilancio: sarà una scelta politica con ricadute sociali. La questione salariale del personale delle Forze Armate e dei Corpi di polizia è da anni al centro del dibattito nazionale a causa della perdita del potere d’acquisto, diventato rilevante dopo un periodo di aumenti inflazionistici. Va inoltre considerato che nei prossimi anni andranno affrontati anche gli effetti dei pensionamenti massicci, delle nuove esigenze di reclutamento e dell’adeguamento degli ordinamenti professionali. Se davvero l’Italia dovrà reperire 100 miliardi in più, è legittimo chiedersi se una parte significativa di queste risorse sarà finalmente impiegata anche per dare risposte concrete a chi ogni giorno garantisce la sicurezza dello Stato.
Maggiore valore per la difesa può nascere solo se gli investimenti strategici non si limiteranno ai sistemi d’arma, ma includeranno anche la dignità, la valorizzazione e la crescita professionale del personale. In fondo, la sicurezza nazionale passa anche dallo stipendio e dalla motivazione di chi ogni giorno la garantisce.
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