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Armi e guerra

Chi vende Armi in Medio Oriente

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Per necessità o garantire la sicurezza in difesa di quei paesi.

Capita spesso di sentire e vedere in televisione notizie relative a scenari di guerra in medio oriente; spesso ci si chiede da dove arrivino le armi per combattere per difendersi e difendere i territori.

Una sintesi, ma neppure tanto sintesi, è proposta da affariinternazionali.it; che traccia uno scenario non troppo irrealistico della vendite di armi a paesi del Medio Oriente da parte di Paesi Europei, tra cui anche l’Italia. Proponiamo un estratto del seguente articolo la cui completezza può essere letta seguendo il link indicato a fine pagina.

La vendita di armi francesi all’Egitto è passata da 39,6 milioni di euro nel 2010 a 1,3 miliardi di euro nel 2016. Ciò a dispetto del fatto che, nell’agosto del 2013, il Consiglio Affari esteri dell’Unione europea abbia chiarito che gli Stati membri sono tenuti a sospendere le esportazioni verso l’Egitto di qualsiasi arma o strumento utilizzabile per fini di repressione domestica.

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L’Arabia Saudita è il principale acquirente di armi di fabbricazione britannica: queste ultime causano ogni mese la morte di decine di migliaia di civili.

Le armi di fabbricazione tedesca continuano (2019) ad essere utilizzate in maniera massiccia nel contesto dei bombardamenti sauditi in Yemen (dove in tre anni 85mila bambini sono morti di fame) e rappresentano un asset a disposizione di numerosi regimi presenti nella regione, a cominciare da quello egiziano.

Nell’anno in corso, l’Italia prevede un ulteriore incremento nella vendita di armi in Medio Oriente pari a oltre 1,5 miliardi di dollari e punta a cedere i suoi armamenti, aerei (inclusi gli Eurofighter), elicotteri, sistemi di combattimento navale e sicurezza informatica alla Saudi Arabian Military Industries (società nata nel 2017 e controllata dalle autorità saudite) e all’Egitto, Paese nel quale le violazioni dei diritti umani – nonché la politica di ‘tolleranza zero’ verso ogni forma di dissenso – sono state documentate da tutte le principali organizzazioni internazionali.

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Sicurezza e stabilità: che cosa ne pensano gli ‘altri’

Ognuna di queste strategie cade sotto la voce ‘sicurezza’ e ‘difesa’ nei budget dei rispettivi Paesi. Fatto ancora più rilevante, larga parte di queste armi viene utilizzata per compiere violazioni dei diritti umani e repressioni di massa ai danni di milioni di esseri umani. Una percentuale non meno significativa finisce nelle mani di diversi gruppi terroristici sostenuti ‘per procura’ dai regimi locali e/o da attori esterni alla regione: un leitmotiv che per alcuni versi ricorda i tempi degli armamenti elargiti ai mujaheddin afghani, cui seguì la nascita di Al-Qaida (1988).

Anche le ‘infinite’ missioni militari nella regione (17 anni di presenza italiana in Afghanistan, 15 anni in Iraq) cadono sotto la voce “sicurezza” e “difesa”; sebbene abbiano portato scarsi benefici legati a entrambi gli aspetti. Stando a dati del Dipartimento di Stato americano, gli ‘incidenti di terrorismo’ registrati in Iraq e in Afghanistan dall’avvio della ‘guerra al terrorismo’ sono infatti aumentati del seimilacinquecento percento (6500%): 199 attacchi nel 2002 a fronte di 13.500 nel 2014.

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